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Nota N° (3)
GIULIO CESARE: grande Imperatore di Roma, dal 65 a.C. ricoprì la carica di Pontefice Massimo e
nel 59 a.C. era stato nominato Console. Durante il suo consolato estese la cittadinanza Romana alla Gallia
Cisalpina e, per limitare il potere della nobiltà Romana, alcuni abitanti della Spagna e della Gallia
Cisalpina vennero ammessi al Senato. Inoltre distribuì ai veterani le terre pubbliche che si trovavano
nel territorio dell’Impero. Nel 58 a.C. assunse il governo dell’Illiria, della Gallia Cisalpina e della Gallia
Narbonense. Dal 58 a.C. al 51 a.C., Cesare riuscì a conquistare tutta la Gallia Settentrionale e un enorme
tesoro venne portato a Roma. Nel 50 a.C., il console Pompeo e il Senato, non rinnovarono a Cesare la
carica di Proconsole della Gallia e gli ingiunsero di ritornare a Roma come un normale cittadino senza il
suo esercito. Cesare non poté accogliere quella decisione e all’inizio del 49 a.C., con le sue legioni varcò il
Rubicone. Quel fiume era il confine imposto da Silla, che nessuno esercito poteva superare. L’arrivo
delle legioni di Cesare e il sostegno delle forze popolari che Cesare incontrava, misero in difficoltà gli
avversari; Pompeo e parte dei senatori scapparono da Roma rifugiandosi in Grecia. Cesare li inseguì con
le sue legioni. A Farsalo avvenne la resa dei conti. Pompeo si rifugiò in Egitto presso il re Tolomeo XIII
dove venne assassinato. Cesare assunse il titolo di Imperator, Generale vittorioso, e di Padre della patria
e capo supremo dell’esercito, perché aveva ottenuto i poteri dai tribuni della plebe dei Censori; si
fece nominare anche dittatore a vita ottenendo l’inviolabilità tribunizia che lo rese Sacrosantus. Egli,
in Senato aveva il diritto di sedere su un seggio dorato, al mese Quintile venne dato il suo nome, Iulius, in
suo onore nei templi vennero collocate statue che lo raffiguravano e furono coniate monete con la sua
effige. Le Istituzioni repubblicane erano ancora in vita, ma nella sostanza tutti i poteri civili, militari e
religiosi erano solo nelle sue mani. Giulio Cesare, a differenza di Silla, però, non ne abusò mai, al contrario,
dopo le sue vittorie, non attuò nessuna repressione nei confronti degli avversari. Si comportò con
senso del governo senza precedenti e con magnanimità, dando inizio ad una nuova organica
politica riformatrice. Emanò nuove leggi che favorivano lo sviluppo dell’agricoltura, del commercio
e dell’artigianato. Si impegnò a migliorare la guida delle provincie, controllando i magistrati che le
governavano, stabilendo con precisione i tributi che i pubblicani dovevano riscuotere, per impedire che
questi continuassero ad abusare della loro posizione di privilegio. Razionalizzò il sistema di distribuzione
gratuita degli alimenti: dimezzando il numero delle persone che ne avevano diritto, assicurandosi, però, che
chi di diritto, ricevesse quanto dovuto; per ridurre la disoccupazione diede inizio a grandi opere pubbliche:
— Il Tevere fu arginato, il Foro venne sistemato e le Paludi Pontine prosciugate. Ma all’aristocrazia
senatoria non interessava che nel tempo di un solo anno la pace e l’ordine fossero stati ripristinati ed erano
state poste le condizioni per un’amministrazione razionale ed efficiente. Gli ottimati temevano che Cesare
ambisse a diventare sovrano assoluto, instaurando una monarchia di tipo orientale: dicevano che ad
indirizzarlo verso questa strada fosse l’affascinante Cleopatra, l’ultima regina dell'antico Egitto e l'ultimo
membro della Dinastia Tolemaica dalla quale Cesare aveva avuto un figlio a cui era stato dato nome
“Cesare” comunemente chiamato Cesarione. «Cesare, sposato con Calpurnia, era cinquantaduenne quando venne
sedotto dalla bellezza e dal fascino conturbante di Cleopatra di 31 anni più giovane di lui».
Giulio Cesare era detestato dall’oligarchia senatoriale, che ambiva a riconquistare il potere perduto, e da
alcuni sinceri repubblicani, persuasi che egli volesse privare Roma della libertà. In questo stato di cose
maturò il contesto che lo doveva portare alla morte, segretamente decisa da un manipolo di congiurati di
cui faceva parte anche Marco Giunio Bruto, figlio adottivo di Cesare. Il 15 Marzo del 44 a.C. «secondo il
calendario romano le Idi di Marzo», Cesare, pur sapendo dell’esistenza del complotto si recò in Senato. Lì
arrivato vi trovò il passo sbarrato dai cospiratori, capeggiati da Bruto e da Cassio. Il primo a colpirlo fu
Cimbro Casca che, a tradimento, gli sferrò un colpo di pugnale alla gola, Cesare, come folgore riuscì ad
afferrare il pugnale ma, vedendo tra i suoi nemici il figlio adottivo, capì che per lui era finita; seguì poi la
pugnalata di Tillio e il fuoco di fila del ferro degli altri sovvertitori che lo avevano circondato, anche Bruto
gli inferse un vile fendente all’inguine. Cesare, Dopo aver pronunciato l’ultima delle frasi passate alla storia:
«Tu quoque, Brute, fili mi!», “Anche tu, Bruto, figlio mio!” si tirò la toga sul capo, offrendo la sua
vita agli dei, e sotto ventitre colpi di pugnale si accasciò nei pressi della statua di Pompeo.
Il popolo, che aveva sempre amato Cesare, era venuto a conoscenza che Egli, per testamento, aveva
lasciato 300 sesterzi ad ogni membro del proletariato urbano e ai legionari. Sarà Ottaviano Augusto,
suo successore, a distribuire alla plebe ed ai soldati il denaro a loro destinato da Cesare. Il 30 Marzo,
durante le onoranze funebri, la folla, infuriata si abbandonò alla disperazione ed a violente manifestazioni di
protesta, chiedendo le teste degli assassini. Le residenze di Bruto e di Cassio e quelle degli altri capi
della congiura vennero date alle fiamme. Bruto e Cassio si rifugiarono in Macedonia dove riunirono
un esercito di circa 80.0000 soldati. Marco Antonio e Ottaviano, li raggiunsero per forzarli alla battaglia,
che mise fine agli anticesariani. Il combattimento ebbe luogo nel 42 a.C. nella pianura di Filippi, tra la
Tracia e la Macedonia. Bruto e Cassio si uccisero; tutti gli assassini di Cesare, vennero braccati,
individuati, uno dopo l’altro furono ammazzati. Nel 40 a.C., i Triunvari si spartirono i domini romani: a
M. Antonio l’Oriente, a Ottaviano l’Occidente, a Lepido l’Africa. Nel 36 a.C., Marco Antonio, dopo
essersi stabilito in Egitto alla corte della regina Cleopatra, che era la sorella ed anche la consorte di quel
Tolomeo che uccise Pompeo a tradimento, la sposò. Nel 31 a.C. Ottaviano, nella battaglia navale di Anzio,
in Grecia, si affrontò con Marco Antonio e segnò la disfatta di Marco Antonio e Cleopatra. Antonio,
apprendendo la falsa notizia che Cleopatra era morta, si suicidò gettandosi sulla sua spada. Cleopatra
non donò ai vincitori la gloria di trascinarla a Roma in catene dietro il loro carro tra gli insulti della
plebaglia: con dignità e coraggio, si tolse la vita facendosi addentare da un aspide.