Page 26 - Lago_Fucino
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Nel 1816 i Marsicani ricaddero nella desolazione e nella miseria, perché le acque del
                   lago  avevano  raggiunto  l’altezza  di  metri  6,083  sopra  il  livello  che  occupavano  nel
                   principio dell’escrescenza al finire dell’ultimo secolo. I Marsi ricorsero a Ferdinando I°,
                   il quale incaricò di effettuare lo studio della situazione l’ingegnere capo, Giuliano De
                   Fazio che, sulla scorta del rapporto dell’arch. Ignazio Stile, formulò il lavoro che nel
                   Settembre del 1816 presentò al Direttore Generale del Genio Civile, che provvide a
                   trasmetterlo al Consiglio Superiore di Ponti e Strade, il quale senza esitare approvò la
                   ripresa dei lavori sospesi nel 1792. I nemici della bonifica del Fucino non desistettero
                   dagli intrighi, e mentre essi tramavano magistralmente sul Consiglio della Provincia,
                   facevano sollevare critiche ed ostacoli quasi insormontabili contro la decisione del Re
                   e del Consiglio di Ponti e Strade: da un mineralogista “Carminantonio Lippi” di Napoli,
                   fecero diffondere il grido d’allarme.
                   Questo non fu in misura minore del “Targioni” e del “La Pira”, al contrario, li oltrepassò
                   per  l’esuberanza e l’assurdità degli argomenti. Per rendercene conto basta leggere
                   qualcosa delle sue opere e, particolarmente questo titolo:
                   — «Canale delle Alpi per la congiunzione di tre mari, o vista di un monumento il più
                   magnifico, il più utile e della più grande durata, che potrebbe stabilirsi sul Moncenisio,
                   per  trasmettere  alla  posterità  la  più  remota il ricordo dei prodigi operati nel 1814 e
                   1815  dai  potenti  alleati  di  Francia  per  il  riposo  del mondo, contenente la teoria dei
                   canali di navigazione nei terreni elevati, Napoli, 1818». Può darsi che  il “Lippi” dopo
                   essersi introdotto per le polverose e buie discenderie di chissà quali miniere, spingeva
                   la sua immaginazione tanto da a spiccare l’ardito volo di fantasia: non s’intimoriva di
                   far levare l'ancora alle navi ed ai vascelli sulla sommità del Cenisio, tantoché, ritenne
                   semplice, ed ancor più economico, ricongiungere i due mari: Adriatico e Mediterraneo
                   attraverso  un  pratico  canale  di  navigazione,  dando  amichevole  appuntamento  nella
                   parte  più  irta  dell’Appennino  Centrale,  precisamente  nel  Fucino,  il  quale,  «ridotto  a
                   bacino  di  carenaggio  doveva  essere  il  grande  serbatoio  d’alimentazione  di  questo
                   monumento idraulico di pubblica utilità, per tramandare ai posteri più remoti il felice
                   ritorno di S. M. Ferdinando I° sul trono, nell’anno  1815».
                   Per dimostrare la stramberia ed il vaneggiamento del “professore Lippi” invocato con
                   tanto strepito a difensore degli oppositori del prosciugamento del Fucino, basti sapere
                   che egli scrisse: «di aver scoperto che le città di Ercolano e Pompei erano si state
                   distrutte, ma non a causa dell’eruzione del Vesuvio, ma: «per via umida». Sic!

                   Nel frattempo le combriccole formatesi a Napoli e le pretese del Consiglio di L’Aquila
                   in favore e contro la riapertura dell’Emissario, sollevarono tale confusione che, il Re
                   interpellò l’ingegnere Pietro Ferrari di Roma, mettendo da subito a sua disposizione, il
                   conte Persichelli, direttore di Ponti e Strade, affinché rifacesse nuovi studi.

                   L’ing. Pietro Ferrari eseguì lo studio con scrupolosità e con più larghe vedute del tutto
                   simile  a  quello  realizzato  dall’architetto  Ignazio  Stile  e  dall’ingegnere  Giuliano  De
                   Fazio, era tuttavia più particolareggiato e poneva in evidenza, l’imprudenza di questi e
                   quella del Consiglio Superiore, che aveva approvato le relazioni meno minuziose.

                                                                Tra questi c’era: il maggiore del Genio
                                                                Civile,  Carlo  Afan  De  Rivera,  che  era
                                                                altresì dirigente dell’Ufficio Topografico
                                                                del Regno. Il Direttore, per farsi un’idea
                                                                al di sopra delle parti di una questione
                                                                così ingarbugliata, si mise a studiare i
                                                                progetti del prosciugamento del Fucino,
                                                                ma  tra  i  documenti  che  disponeva, ad
                                                                eccezione  dei  pochissimi  dati  rilevati
                                                                dell’abate  Giuseppe  Lolli,  mancavano:
                                                                — la planimetria aggiornata del lago, le
                                                                notificazioni idrologiche, le osservazioni
                                                                idrografiche  e  perfino  lo  scandaglio;  e
                                                                pensare che si era discusso per più di
                                                                trent’anni,  degenerando  addirittura  nel
                                                                ridicolo,  senza  la  minima  conoscenza
                   dell’argomento! erano manchevoli perfino le relazioni sull’Emissario di Claudio.
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