Page 23 - Lago_Fucino
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PRÒ E CONTRO IL PROSCIUGAMENTO
                                             CHI FURONO COSTORO   


                                                G G G G      J J GG  J J GG  J J GG  J J GG  J J GG
                                                  J J GG  J J GG  J J GG  J J GG  J J GG

                       Dopo la morte di Claudio avvenuta nel 54 d.C., la storia non da più notizie sul
                   Lago Fucino. Solo verso la fine dell’anno 114 e l’inizio del 115 d.C., Traiano Marco
                   Ulpio Nerva, effettuò lavori di miglioramento di modesta entità all’opera di Claudio,
                   cosa  che  fu  rilevata  da  una  lapide  rinvenuta  nella  chiesa  di  San  Bartolomeo  di
                   Avezzano in prossimità della fine del XV secolo, scritta che fu illustrata da Mutio
                   Febonio, Camarra e Raffaele Fabretti   (18)  e che, in seguito, non si è più ritrovata.
                   Comunque sia, il sapiente Henzen fu dell’avviso che i lavori di Traiano sono certi.
                   Nel 117 d.C. subentrò Publio Elio Adriano. Elio Sparziano scrisse: «Lacum Fucinum
                   emisit» e Girolamo in un passo di Eusebio aggiunse «Fucinum exiccavit» e Grevio
                   nella  descrizione  di  una  medaglia  concluse  «purgatae  fuerunt  aqua  stagnante
                   Fucini paludes». Adriano, fece approfondire il fondo del Collettore esterno, però
                   nonostante i successi ottenuti i lavori furono sospesi e in seguito abbandonati.
                   Le opere fatte realizzare da Adriano, probabilmente, permisero il prosciugamento
                   totale del lago, o quantomeno, la riduzione drastica delle acque per alcuni secoli.
                     Fin qui le opere ed i lavori eseguiti dai Romani. Opere che apportarono grandi
                   benefici per il Paese. Infatti, all’epoca di Adriano e per i successivi due secoli, la
                   Marsica visse un elevato grado di prosperità. Il Lago si ridusse ad una superficie di
                   circa 6000 ettari: permettendo ampie e più regolari colture. Purtroppo questo stato
                   di cose, con il tempo venne meno, perché l’Emissario abbandonato a se stesso,
                   aveva  piano,  piano  perso  del  tutto  l’efficienza  e,  di  conseguenza,  iniziarono  di
                   nuovo le odiate inondazioni. Gli anni successivi furono carichi di incertezze e di
                   fame nera; ma dalla memoria dei Marsicani non era mai svanito il ricordo di quegli
                   anni  di  prosperità,  pertanto,  con  ripetuta  perseveranza,  essi  chiedevano  ai  vari
                   governi che si succedevano di aprire nuovamente l’Emissario di Claudio.

                   Da Adriano fino al XIII secolo non si parlò più dell’Emissario di Claudio.

                   A seguito dei reclami dei Marsi, Federico II°,  con un “editto” diretto al Giustiziere
                   degli Abruzzi, Boamondo Pisano, dove si rileva come il suddetto aveva dato ordine
                   ad Ettore Montefuscolo, perché si desse inizio ai lavori, atti a riaprire l’Emissario
                   Romano e ripulire i canali del lago. Questi lavori però furono di scarsa utilità.

                   Carlo Afan De Rivera cita tre strani personaggi: il Biondo, il Bacci ed il Loschi, che
                   nel  XV  secolo,  su  ordine  di  Alfonso  D’Aragona,  avrebbero  fatto  dei  tentativi  di
                   restauro dell’Emissario; però di queste operazioni non ne è rimasta traccia.
                    Era dal tempo del grande imperatore Giulio Cesare, che i Marsicani chiedevano
                   ripetutamente che si accorresse in loro soccorso, dando fuoruscita alle acque del
                   Lago Fucino, ma non furono mai seriamente ascoltati.

                   Febonio ci lasciò scritto che, nel XVI secolo fino all’inizio del XVII, l’escrescenza
                   del lago assunse proporzioni spaventose, che invase le mura di numerose case di
                   Luco, incutendo timore di ricoprire d'acqua San Benedetto ed Ortucchio. Questo
                   avvenimento  fece  piombare  le  persone  nel  terrore;  tanto  che,  il  conte  Lorenzo
                   Colonna, radunò i Comuni feudali in consorzio, interpellando l’architetto Domenico
                   Fontana e l’ingegnere Mario La Cava, per studiare i problemi e porvi i rimedi.

                   Dopo quella terrificante escrescenza seguì la contrazione tanto che, nel 1670 si
                   poté procedere all’elencazione catastale delle terre riemerse dalle acque.
                   Nel  1780  si  verificò  un’altra  catastrofica  escrescenza,  che  peggiorò  dal  1783  al
                   1788 e che, secondo i calcoli dell’architetto Ignazio Stile, fece innalzare il livello
                   ordinario del lago per più di otto metri. La devastazione fu irriferibile e gli abitanti,
                   ridotti alle ristrettezze estreme, erano talmente prostrati che Ferdinando II° Re di
                   Napoli, inviò degli ispettori a vagliare l’entità dei danni. Questi, udito il responso,
                   venne in aiuto dei Marsicani: esentò subito dall’imposta fondiaria le terre allagate e
                   incaricò  lì  per  lì,  l’architetto  Ignazio  Stile,  competente  e  particolarmente  abile  in
                   idraulica, affinché trovasse i modi e i mezzi per riattivare l’antico Emissario.
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